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Cenni storici

un po' di storia di Escalaplano

Escalaplano è un comune della Sardegna che fa parte della Provincia di Cagliari. Il Comune è situato al confine della provincia di Cagliari con quella dell'Ogliastra e ha una popolazione di 2260 abitanti. Il suo territorio si sviluppa per 93,88 chilometri quadrati e confina con Esterzili, Perdasdefogu, Ballao, Goni e Orroli più precisamente: confina a nord con Esterzili, dal Flumendosa a "Funtana de Tremini" e di qui col troncone staccato del territorio di Seui fino al Flumineddu; ad est con Perdasdefogu lungo il Flumineddu fino a Is Sclamoris e poi, oltre il fiume, fino a toccare il rio "Coili de Ierru" e con Ballao lungo detto rio fino alla confluenza con Flumineddu e, lungo il corso di questo, fino alla confluenza del rio "Sa Pirixedda"; a sud confina con Ballao fino al Flumendosa; ad ovest con Goni ed Orroli.

Escalaplano è compreso nella diocesi di Lanusei e fino al 2007 faceva parte della XIII Comunità Montana "Sarcidano Barbagia di Seulo". Nel 2008 la Giunta Regionale ha inserito il comune di Escalaplano nell'Unione di comuni Gerrei e il Consiglio Comunale con delibera n. 6 del 29/04/2008 ha stabilito la non adesione alla nuova Comunità Montana "Sarcidano Barbagia di Seulo" e sancito quindi l'adesione all'Unione Comuni del Gerrei.

Escalaplano giace sul pendio meridionale dell'omonimo altipiano a 325 m. d'altezza. Il suo territorio è attraversato dal Flumendosa e dal Flumineddu che delimitano in certi tratti i confini con i paesi vicini. I due fiumi soprattutto nel periodo estivo sono pressoché asciutti, perché sbarrati a monte da dighe poderose. Vittorio Angius nel suo "Dizionario geografico-storico-commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna" pubblicato da Goffredo Casalis nel 1841 afferma che nei due fiumi abbondavano le trote, le anguille e i muggini e che non pochi escalaplanesi attendevano alla pesca di tali pesci per poi venderli nei paesi vicini.

Il territorio del paese è ricco di monumenti archeologici che testimoniano la presenza di vita umana risalente al neolitico e all'età nuragica.

Vi sono infatti le domus de janas in località Santu Giuanni, i nuraghi di Fumia, Perd'e Utzei, Amuai, Fossada, Pranu Illixi, Genna Picinnu e quello di Perducatta che sorge al confine urbano di Escalaplano. Vi si trovano pure un pozzo sacro e una fontana nuragica in località Is Clamoris, a pochi metri dal letto del Flumineddu. Inoltre si conservano tracce della dominazione romana in località Is Arrantas, Perde Utzei ed in Foss'e Canna. Tutta la regione compresa tra il Flumineddu e il Flumendosa nel primo secolo dopo Cristo era abitata e fiorente, perché vi erano stanziati i popoli Palvicenses i quali nell'anno 86 dopo Cristo ottennero un decreto scolpito nel bronzo dal Pretore M. Helvio Agrippa che ordinava che i Gallinensi più non invadessero il loro territorio, come risulta dal detto atto ritrovato ad Estezili nel 1866 nella zona di Corte Lucetta da un agricoltore mentre arava il suo terreno. La lastra di bronzo era larga 60 cm, alta 45, spessa 5 e pesante circa 20 kg.

Nel centro storico del paese è situata la chiesa parrocchiale seicentesca dedicata a S. Sebastiano Martire. Lo stile è rinascimentale, il grande e originale rosone della facciata è invece in stile aragonese, probabilmente la chiesa attuale è stata ricostruita sulle preesistenze di una chiesa in stile aragonese. La chiesa venne costruita tra il 1614 e il 1623 infatti dai registri parrocchiali risulta che nel 1599 durante una visita pastorale, l'arcivescovo di Cagliari, Antonio Lasso, viste le condizioni della chiesa ordinò la costruzione di un nuovo edificio di culto. I lavori non iniziarono subito e l'ordine venne ripetuto nel 1606 e nel 1614. Nel 1623 i lavori dovevano essere probabilmente terminati in quanto il Vescovo ausiliare Sebastiano Carta, in visita a Escalaplano, ordinò al parroco di costruire un pulpito ligneo ancora oggi esistente. Il campanile attuale fu invece fatto costruire in pietra lavorata a vista circa un secolo dopo e precisamente dal 1778 al 1785 dal parroco Francesco Lai. Sul campanile si appese la nuova campana, fusa nel 1587 da maestro Pietro Tolu di Cagliari, per ordine di Nicola Pisano, procuratore della parrocchia (tre campane, che attualmente si trovano all'interno della chiesa, sono state fuse rispettivamente nel 1587, 1602 e 1699).

L'architetto Vico Mossa scrive della chiesa parrocchiale di Escalaplano "La chiesa è derivata dal Rinascimento Italiano, sia nelle strutture che nelle decorazioni plastiche. L'armoniosa navata, fiancheggiata da cappelle coperte da belle volte, è illuminata da un grande, originale rosone. Le decorazioni scultoree nell'arcone dell'abside rappresentano la Vergine e gli Apostoli e, nel catino, il martirio di San Sebastiano. E' uno dei rari esempi di organismi cinquecenteschi di penetrazione classicistica italiana."

I lavori di restauro della chiesa, conclusi alcuni anni fa, hanno evidenziato la bellezza ma anche l'importanza delle strutture architettoniche di quella che è stata considerata uno dei rari esempi di organismi rinascimentali di penetrazione classicistica italiana.

Molto antica è anche la chiesa di San Salvatore da poco restaurata, e quella altrettanto antica dedicata a San Giovanni Battista, ricostruita circa 50 anni fa a poca distanza dalla vecchia chiesa. Nel 1800 era anche ricordata la chiesa della Vergine Assunta. In antico Escalaplano faceva parte della diocesi di Dòlia, che nel 1503, fu aggregata all'archidiocesi di Cagliari. Dal 1824 fa parte della Diocesi di Ogliastra.

Per quanto riguarda le origini del paese, non è possibile indicare con certezza una data precisa della sua nascita per mancanza di documenti. Il paese, nel medioevo, appartenne alla curatoria di Gerréi (o Villasalto o Galilla), nel regno giudicale di Càlari a cui il suo territorio apparteneva a partire dal 900 d.c., fino al 1258 quando cioè si formarono i quattro Regni di Sardegna. Quando in quell'anno 1258 il "giudicato" di Calari fu abbattuto dagli altri tre "Regni" filopisani e dal Comune di Pisa, il territorio fu smembrato e diviso fra i coalizzati. Probabilmente la "curatoria" di Gerrei insieme ad altre che formavano la parte centrale fu data al Regno d'Arborea che allora era governato da Guglielmo di Capraia. Il 4 gennaio 1295 il sovrano di Arborèa, Mariano II, lasciò per testamento la sua Terza parte del Calaritano alla Repubblica comunale di Pisa, ma il testamento fu eseguito solo dopo il 1300, quanto Pisa ottenne il Terzo del territorio del Calaritano, formato dalle "curatorie" centrali di: Gippi, Nuraminis, Trexenta, Marmilla inferiore, Dolia, Siurgus, Gerrei e Barbagia di Seulo, infatti Mariano II d'Arborea lo aveva lasciato al Comune toscano. La dominazione pisana in Sardegna limitata al solo territorio del Cagliaritano e della Gallura durò 66 anni, dal 1258 al 1324.

Il 13 giugno 1323 era sbarcata in Sardegna una potente armata catalano-aragonese, venuta nell'isola per strappare ai Toscani i loro possedimenti sardi e fondare con essi il Regno di "Sardegna e Corsica" istituito teoricamente dal papa Bonifacio VIII nel 1297 per risolvere la Guerra del Vespro ed infeudandolo nominalmente al neoguelfo Giacomo II il Giusto, re della Corona d'Aragona. Escalaplano dal 1324 fu pertanto un paese del Regno catalano-aragonese di Sardegna e venne concesso, secundum morem Italiae, a Nicolò Carròs, unitamente a Spatiani e Sassài, con gli abitanti in continuo stato di agitazione. Alla morte di Nicolò Carròs, nel 1347, il feudo passò a suo nipote Giovanni. Dal 1365 al 1409 il paese, con la curatorìa, ritornò sotto le istituzioni giudicali, venendo a far parte del Regno di Arborèa. Dopo la battaglia di Sanluri del 1409 le popolazioni mantennero ancora uno stato di agitazione contro il sistema feudale dei Carròs che avevano unito il territorio al feudo di Mandas. Nel 1479 morì Nicolò, ultimo erede dei Carròs ed il feudo passò a Pietro Maza de Liçana, marito di Beatrice Carròs. dal 1546-1571 il feudo fu ereditato dai Ladron, che nel 1614 divennero duchi di Mandas. Nel 1617 i Ladron si estinsero e il feudo passò agli Zuñiga, duchi di Bejar.

Intorno al 1652 la popolazione di Escalaplano diminuì vertiginosamente a causa di un epidemia di peste. Nel 1777 il feudo passò ai Tellez Giron, dai quali Escalaplano fu riscattato nel marzo del 1843.

Per quanto riguarda i documenti esistenti, di Escalaplano si parla per la prima volta nel "Repartimiento de Cerdena", ruolo delle imposte combinato dagli aragonesi nel 1358, sulla base di quello Pisano del 1316: "Villanova de Scala de Pla situada enfra la dita curatoria de Guallill e de Barbarga e no ha naguna quantidat de diners froment y ordi en lo Componiment e assò per son tal homens qui apenas stan a camandament de Señor". Il paese viene quindi descritto come paese nuovo o perlomeno sconosciuto agli aragonesi, situato al di fuori delle vecchie curatorie. Allora il paese era compreso tra la curatoria di Guallill (Gerrei) e di Barbarga (Barbagia di Seulo) non era ancora censito dai Pisani per imposte di moneta, di grano e di orzo, perché, erano uomini che stavano a mala pena sottomessi ad un padrone.

In un'altro documento, risalente al XIV secolo, conservato nell'Archivio Di Stato di Cagliari, il paese è denominato "Villa de Scala de Pla", faceva parte del Regno di Sardegna ed era inserito nel Feudo della famiglia Carròs. Nel documento il paese, insieme ad altre "ville", fu riconfermato in feudo a Nicolò Carròs d'Arborea. Il paese è chiamato Scala de Pla (no) dal luogo nel quale è situato, l'accesso a Su Pranu.

Lo storico N. Tomassia crede che fosse un centro, fino ad allora ignorato, dei famosi ribelli barbaricini, vissuto di nascosto in quelle montagne e sconosciuto dal potere politico, basandosi su un documento del 1415 che parla di "omicidi, stragi, rapine e ferimenti che si commettono e si perpetrano a Villasor da alcuni uomini ancora ribelli che scendono dalla Barbagia". Resterebbe da spiegare come il centro abitato in cui sorge oggi Escalaplano si sia potuto nascondere per oltre un millennio vicino alla capitale dell'isola, pur essendo circondato da paesi entrati nella legalità, sebbene fossero più lontani. Per far ciò basterebbe tornare indietro nel tempo per poco più di un secolo per trovarne l'origine nelle truppe arruolate da Giovanni Visconti nelle sue terre della Gallura, dell'Ogliastra, di Quirra, del Sarrabus e di Colostrai messe al bando dal comune di Pisa. Anselmo di Capraia inviato da Pisa sconfisse, tra la Trexenta e Cagliari, tali truppe e Giovanni Visconti fu costretto a fuggire imbarcandosi verso il continente. Le truppe superstiti si diressero a nord del Gerrei inoltrandosi fino all'altipiano compreso tra il corso del Flumendosa ed il Flumineddu, dove oggi sorge Escalaplano. Le conche profonde dei due fiumi brulicavano di trote e anguille, branchi di cinghiali di mufloni e di cervi scorazzavano in mezzo ai boschi, voli di innumerevoli colombacci di pernici, merli e tordi offrivano cibo abbondante per sopravvivere in attesa di tempi più favorevoli. Pisa nel frattempo doveva guardarsi da Genova e non poteva permettersi di stanare i fuggiaschi che nel frattempo si erano fatti raggiungere dalle famiglie impiantando nuovamente greggi, coltivando orti e cereali. La sconfitta di Pisa ad opera degli aragonesi fu per loro, motivo di speranza, l'assedio del castello di Quirra operato invano dai Doria contro gli aragonesi creò loro un passo avanti verso la libertà. Molti di loro preferirono stare nascosti, ma il gruppo che abitava nella Scala di accesso a Su Pranu si aprì ai nuovi arrivati che li accolsero benevolmente anche perché si erano battuti contro il nemico comune e senza contropartita. Nacque così ufficialmente Escalaplano infeudato a Don Giovanni Carròs che li addomesticò a pagare i tributi come tutti gli altri paesi.

Le notizie successive risalgono agli anni che vanno dal 1605 in poi, poiché è proprio dal 1605 che cominciano i primi registri parrocchiali capaci di offrire un quadro delle condizioni del paese e del suo andamento demografico.

La popolazione di Escalaplano, come quasi ovunque in Ogliastra, era costituita in prevalenza da massai e pastori.

Spuntavano tuttavia tra le famiglie più abbienti alcuni scrivani, notai, sacerdoti; era l'unico modo di distinguersi e potevano farlo, naturalmente, coloro che potevano disporre di qualcosa di più del puro necessario per vivere. Quelli che sapevano scrivere erano chiamati Mosser (Signori) e Sennora veniva chiamata la loro moglie. Troviamo scrivani e notai quando vengono riportati battesimi, cresime, matrimoni ma anche quando si parla di testamenti nel libro dei defunti: Notai e scrivani sono imparentati tra loro tant'è che la composizione del paese nei primi anni del 600 è caratterizzata dalla folta presenza di Pisano, Demontis, Melis, Gessa, Serra.

A metà del settecento c'erano almeno cinque notai che offrivano la possibilità di nozze a parecchi nobili di altri paesi che avevano cominciato ad affluire a Escalaplano per sposarvi la figlia o la sorella di un notaio ricco. Il 30 maggio 1749 il nobile vedovo di Villaputzu don Giuseppe Deplano venne a sposarvi Felicia Pisano, figlia del notaio Giuseppe Pisano Sanna. Il 26 marzo 1751 don Vito Tommaso Dedoni di Nurri sposò Crescenza Demontis, nipote del curato Antonio Demontis e del fratello di questi il notaio Luca. Il 7 agosto 1762 il nobile di Mandas, don Pietro Salaris venne per sposare Margherita Depau. Nel 1766 don Giuseppe Dedoni sposa Maria Teresa Podda. Morto don Giuseppe Deplano, venne da Nurri, per sposarne la vedova Donna Felicita, il nobile vedovo di Nurri don Pietro Dedoni. Il 20 dicembre 1772 don Pasquale Dedoni di Nurri sposò Maria Lucifera Demontis, figlia del notaio Luca. Un altro don Giuseppe Dedoni di Nurri sposò donna Maria Anna Dedoni figlia del primo nobile Dedoni arrivato a Escalaplano. Da tutti questi nobili nacquero altri nobili, otto dal solo don Giuseppe Dedoni, le cui cinque figlie attirarono altri nobili ad Escalaplano. Il volto del paese cambiava radicalmente per le esigenze di procurare doti adeguate alle figliole nobili per trovare partiti adeguati e per trovare un avviamento dignitoso per i figli maschi, i quali, perché nobili, non potevano dedicarsi ai lavori manuali. Crebbero anche le esigenze delle famiglie notarili imparentate con i nobili o ambiziose di diventarlo.

Nei secoli successivi Escalaplano non subì altri mutamenti continuò però, in considerazione della posizione geografica, ad essere un villaggio isolato privo di vie di comunicazione che lo mettevano in contatto con i paesi vicini. Il Flumendosa, l'antico Saeprus era il fiume più terribile della Sardegna e ogni anno si contavano delle vittime, soprattutto durante la cattiva stagione quando i collegamenti erano quasi impossibili ed isolavano il paese, causando miseria e abbandono da parte dell'autorità.

Altra importante testimonianza su Escalaplano è quella di Vittorio Angius nel suo "Dizionario geografico-storico-commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna" pubblicato da Goffredo Casalis nel 1841. L'Angius descriveva il paese nel 1830 indicando che:
Scalaplano, Villaggio della Sardegna nella provincia d'Isili e diocesi di Bonavoglia. Era parte della curatoria di Galilla compresa nel giudicato di Cagliari. Era composto di 285 famiglie per un totale di 1220 abitanti. Nascevano nell'anno in 40 morivano 25, matrimoni 10. Le più frequenti malattie sono i dolori laterali. Molti vivono agli 80 anni. Le professioni principali erano l'agricoltura e la pastorizia . Nelle arti necessarie sono impiegate circa cinquanta persone e vi sono non pochi che si occupano in trasportare e rivendere i prodotti del paese e le opere degli artefici. Lavoransi in più di trecento telai la lana e il lino, e vendesi il sovrappiù del bisogno. Vi è stabilita la scuola di primaria istruzione alla quale però ordinariamente non concorrono più di dodici fanciulli. Dopo il monte granatico e nummario non altro stabilimento di pubblica utilità può rammentarsi. La chiesa parrocchiale è dedicata a S. Sebastiano Martire. Un prete che qualificano vicario la governa, ed è assistito nella cura della anime da un altro sacerdote. Sono altre tre chiese minori, nel villaggio una dedicata alla Vergine Assunta e due nella campagna dedicate al Salvatore e a S. Giovanni Battista. Nelle principali feste è bello il vedere le lunghe schiere dei buoi e dei cavalli adornati alla meglio, che si guidano avanti ai simulacri dei santi. In alcune di queste i ricchi gareggiano in fare splendide elemosine ai poveri, e tutti a ospitare gli stranieri che vi concorrono. Si seminano ogni anno starelli di grano 1000, d'orzo 800, di fave e piselli 200. Il grano rende il sei, l'orzo il dieci, le fave cinque i piselli anche dieci. Quello che sopravanza dei cereali portasi a vendere a Tortolì sul dorso dei cavalli, perché non si può con i carri. Le viti prosperano ed annualmente si raccolgono circa 20 mila quartare di mosto. Il vino lodasi come ottimo. Se ne brucia poco per acquavite. Si numerano pecore 2000, capre 1500, buoi e vacche 900, cavalli 30, giumenti 200. Quando gli Scalaplanesi potevano vendere nel porto del Sarrabus i loro formaggi ai napoletani, le capre e le pecore erano più numerose. I cacciatori trovano facilmente cinghiali, cervi e daini e altre specie minori. Numerosissime le specie d'uccelli e nella fine dell'inverno trovansi grandissimi sciami di tordi. O formasi o crescono in questo territorio non meno di sedici ruscelli che danno tributo al Dosa (Flumendosa) e allo Stanali suo confluente (Flumineddu). Né in uno né nell'altro di questi due fiumi, che scorrono da una e dall'altra parte del villaggio, e si uniscono a mezzogiorno, si è formato alcun ponte, sebbene sia sommo pericolo a guadarli in stagion piovosa. Per non essere totalmente interrotte le comunicazioni con gli altri villaggi del dipartimento, si passa il Dosa sopra una barchetta, e per questo comodo deve pagare il comune starelli venticinque di grano. In questi due fiumi abbondano le trote, le anguille e i muggini. Non pochi escalaplanesi attendono alla pesca, e si computa che i medesimi prendevano circa 45 cantare di tali pesci che portano vendere nei vicini dipartimenti.

Agli inizi del XX secolo, seppure la prima e seconda guerra mondiale non interessarono direttamente il paese, gli avvenimenti bellici segnarono molto il paese per la partenza di molti escalaplanesi al fronte, per la preoccupazione dovuta alla paura di bombardamenti e sia per la mancanza di cibo. Escalaplano non subì bombardamenti ma senz'altro fu partecipe al dolore e alla rovina della città di Cagliari che venne quasi completamente distrutta. Durante la notte si vedevano in continuazione le luci delle esplosioni che illuminavano la campagna e si udivano boati che facevano sentire la paura per la guerra. La più grande preoccupazione era però quella della sopravvivenza, il cibo scarseggiava e si doveva pensare anche a dar da mangiare ai numerosi sfollati provenienti soprattutto da Cagliari e centri vicini per sfuggire dai bombardamenti.

Con la seconda guerra terminò il periodo buio e di crisi. Si realizzarono opere importanti: la costruzione dei ponti sul Flumendosa, le strade per Ballao, Perdasdefogu Orroli, Esterzili e recentemente Goni che migliorarono le comunicazioni ed eliminarono finalmente l'isolamento. Altre importanti opere la costruzione delle dighe, tra le quali la grandiosa costruzione della diga sul Flumendosa che coincise con il massimo sviluppo demografico del paese.

La diga sul Flumendosa, che i romani chiamavano Saeprus, era già in progettazione dal 1945 anche con lo scopo di evitare le disastrose piene che causavano gravi danni alle colture e agli abitati di San Vito, Villaputzu e Muravera. Nella costruzione dello sbarramento sul Flumendosa, indispensabile come quello del Mulargia per portare l'acqua al Campidano, venne dispiegata una grande forza di uomini e mezzi. Si avanza lentamente in un ambiente che metteva a dura prova gli operai, per la maggior parte contadini e pastori del luogo che avevano però scarsa dimestichezza con i mezzi utilizzati e con il sincronismo richiesto dalla costruzione. L'EAF, che costruì la dighe con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno, evitò però di licenziare gli operai del luogo e di sostituirli con operai specializzati del continente per non ingrossare le già robuste file della disoccupazione. Ci si limitò ad assumere nella penisola un certo numero di addetti professionalmente capaci, i quali fecero da guida alle maestranze locali. Si arriva così alla grande festa del primo febbraio del 1958 in cui avviene l'inaugurazione della diga ad arco di gravità in calcestruzzo, alta 120 metri, con una capacità di invaso pari a 290 milioni di metri cubi, che strozza il Flumendosa nella direzione del Nuraghe Arrubiu e forma un invaso che si allunga per 17 chilometri. L'opera progettata dal Prof. Filippo Arredi, indiscussa autorità in campo idraulico, è una tra le maggiori del genere in Europa. Il padrino, il giorno dell'inaugurazione, è un personaggio d'eccezione: si tratta di Giovanni Gronchi, Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato è attorniato da un nugolo di personalità: i rappresentanti della Camera e del Senato, il Ministro Campilli, L'On.le Antonio Maxia, il Presidente e il Direttore generale dell'EAF ecc. ecc. L'Arcivescovo Paolo Botto provvede al rito religioso e subito dopo Gronchi taglia il nastro. Applausi a non finire degli addetti ai lavori, autorità e abitanti dei paesi vicini. Contemporaneamente si inaugura la galleria, lunga 10 chilometri, che collega l'invaso del Flumendosa con quello del Mulargia. Nel 1982 si inaugura invece lo sbarramento in calcestruzzo sul Flumineddu, affluente di sinistra del Flumendosa. Alta quasi 41 metri ha un invaso di 1,4 milioni di metri cubi. L'opera è finalizzata ad arricchire il lago del Flumendosa tramite una galleria di sette chilometri.

pagina curata da Gianluigi Mereu

PER SAPERNE DI PIU':

  • Storia di Sardegna - F.C. Casula
  • Dizionario geografico-storico- commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna pubblicato da Goffredo Casalis nel 1841
  • Itinerario dell'Isola di Sardegna - Alberto della Marmora
  • Dati relativi alla storia dei paesi della diocesi d'Ogliastra - Flavio Cocco
  • Bollettino Biografico Sardo - N. Tommassia
  • Rendite Pisane del Giudicato di Cagliari agli inizi del XIV secolo - F. Artitzu




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